08 Set Giorno 2: una giornata di storie
Le storie di oggi vengono dal passato, ma sembra che il loro finale non sia ancora stato scritto. In realtà c’è solo un appunto per coloro che lo vorranno scrivere: ognuno di noi ha la possibilità di rendere il mondo un posto migliore, ma nessuno lo può fare da solo.
Fai una domanda ad un israeliano e lui ti risponderà raccontandoti una storia. È una caratteristica della loro cultura, esattamente come un italiano che deve gesticolare per spiegarti meglio un concetto.
Il sogno di Eliav Zakay
Storia numero uno: “Il sogno di Eliav Zakay”. Dopo un lungo periodo da educatore alla leadership nell’esercito israeliano, Eliav ha compreso che per garantire al suo paese nuove generazioni di leader era necessario accompagnare i ragazzi di 16-18 anni in un programma che, anziché ostinarsi a insegnare quelle competenze che ci si aspetta da un leader, permettesse loro di trovare queste e molte altre in loro stessi. Vent’anni fa, allora, ha fondato LEAD e oggi continua a ripulire i suoi diamanti, che, usando la sua metafora, non sono altro che giovani come noi. Ed è qui che si colloca la mia difficoltà nel comprendere come un uomo ormai adulto e in carriera possa nutrire così tanta fiducia in ragazzi della mia età: gli sono profondamente grata per aver seguito il suo sogno e per ricordarmi che sono abbastanza per cambiare le cose che non funzionano nella società.
La vera ricchezza di Morris Kahn
Storia numero due: “La vera ricchezza”. Se si digita su Google “Morris Kahn” compariranno svariate graduatorie degli uomini più ricchi del mondo; la posizione di Kahn varierà poi in base all’anno e alla ricerca, ma si aggira intorno al 150° posto. Una ricchezza economica, dunque, provata anche dal grattacielo che possiede nel centro di Tel – Aviv, dalle foto che lo immortalano mentre tiene in mano una nuova sonda spaziale di sua proprietà e da un’elegante studio all’ultimo piano che ha lasciato tutti noi senza parole.
On-line, oltre alle graduatorie ci sono ovviamente anche le sue foto: lì appare come un nonnino sempre sorridente, talvolta attorniato da bambini di colore e talvolta con i colori di Israele alle spalle. Ed è proprio così che Morris Kahn si è presentato a noi ambasciatori di LEADIt, tanto che, mentre gli presentavo il mio progetto, la cosa più difficile è stata sicuramente cercare di non commettere errori in inglese, piuttosto che reggere il suo sguardo: per tutto il tempo, infatti, ha sorriso ed annuito alle mie parole.
Morris Kahn ha ascoltato altri due progetti di noi ambasciatori, poi la storia di Elettra e di LEADIt e, infine, ha dimostrato di essere un vero israeliano raccontandoci le sue di storie.
Una di queste è la storia di due suoi amori, quello per l’Africa Nera e quello per la medicina, che Kahn ha saputo conciliare con un’associazione no profit che cura i bambini africani affetti da particolari patologie e che forma medici africani sul territorio. Davvero buffo è poi pensare che il filantropo ami assistere agli interventi chirurgici: me lo immagino con il camice verde mentre osserva, come farebbe un bambino, il dottore che opera.
Infine, se è vero che Morris Kahn misura la ricchezza non in termini di grattacieli posseduti e conti in banca, bensì secondo il bene compiuto per gli altri, la terza storia dà testimonianza di questo alternativo concetto di ricchezza. Tutto inizia con un sasso lanciato nell’acqua e continua con quei cerchi che in essa si formano, si moltiplicano velocemente, aumentano di diametro, ma mantengono sempre lo stesso centro. Ecco, LEAD rappresenta il sasso che lui ed Eliav hanno lanciato, mentre i primi cerchi sono i progetti dei ragazzi israeliani e quelli con il diametro maggiore sono i progetti di noi leader italiani. Sono quelli il cui centro appare molto lontano – e in effetti Israele non è proprio dietro l’angolo – , ma sono anche quelli che, avendo un raggio maggiore, potranno portare LEAD lontano.
Fino a dove potranno arrivare quei cerchi? La risposta è nel nel sogno di Maria Elettra Favotto.
Il sogno di M.Elettra Favotto
Il primo capitolo del sogno si è realizzato in Italia, quando è nata LEADIt; il secondo in Israele, proprio quando noi ambasciatori italiani abbiamo abbracciato per la prima volta gli ambasciatori israeliani; i capitoli successivi, invece, si realizzeranno quando ad abbracciarsi saranno leader da ogni parte del mondo. Ritornando ai quei cerchi nell’acqua, quindi, arriveranno a bagnare quanti più stati possibili nel mondo, affinché nasca un network internazionale di giovani leader che possano davvero collaborare per fare la differenza. Elettra, così come Morris Kahn con il suo sasso, sa che è questo l’unico modo per rendere il mondo un posto migliore.
Gli Alumni di LEAD
Mancano ancora due storie ed entrambe hanno per protagonisti gli Alumni: si chiamano in questo modo coloro che, come noi, hanno concluso i primi due anni in LEAD e per i quali si apre una nuova fase del programma. La comunità degli Alumni israeliani conta centinaia di membri e i sondaggi sostengono che sia l’associazione di alumni con il numero maggiore di partecipanti in Israele. Il segreto? Autogestione e sguardo al futuro. Autogestione perché sono gli Alumni stessi a organizzare conferenze e workshop per rispondere alle loro personali domande e alle sfide giornaliere: loro le conoscono sicuramente meglio di qualsiasi adulto che voglia organizzare un programma per loro. Sguardo al futuro perché questi giovani leader si impegnano in progetti comuni che possano continuare ad apportare miglioramento e innovazione, tanto che talvolta divengono vere e proprie attività imprenditoriali.
LEAD Italia Alumni: prossimamente sugli schermi
Sebbene il nostro gruppo italiano di Alumni esiste solo da due mesi, abbiamo già elencato progetti ed opportunità per il nostro futuro, che a breve diventeranno realtà.
Servire il proprio paese rimanendo fedeli ai propri valori
È Tamar a raccontarci l’ultima storia in questo nostro secondo giorno in Israele. Non indossa più pantaloni floreali, t-shirt e sandali come lo scorso anno in Italia, ma la divisa dell’esercito israeliano, i capelli sono raccolti e al collo ha una collana con il numero che la identifica nell’esercito. Se poi cammini per strada e presti attenzione, puoi vedere molti altri ragazzi vestiti così. Tutto ciò appare strano e triste fino a quando non guardi il loro volto e non ascolti le loro storie: sono ragazzi sorridenti e orgogliosi di quello che stanno facendo.
La leva militare è obbligatoria in Israele, dura almeno due anni per le ragazze e tre per i ragazzi, è paragonabile a un lavoro ed è un servizio essenziale per uno stato in guerra. Non è semplice capire una necessità del genere per chi, come me, la guerra l’ha incontrata solo nei libri o al telegiornale; ma giorno dopo giorno ho cercato di guardare la realtà israeliana dalla prospettiva di chi cammina per strada sereno solamente perché sa che al confine ci sono soldati che lo proteggono da attentati. Ho anche smesso di guardare quei soldati con tristezza grazie al racconto di Tamar: la maggior parte non imbraccia il fucile per combattere, ma si occupa, ad esempio, di altre attività di servizio. Tamar, allora, conclude insegnando a noi quello che LEAD ha insegnato a lei: se si rimane fedeli ai propri valori, c’è sempre la possibilità di fare la propria parte –anche in un contesto ultra regolamentato come l’esercito -, di dare il proprio contributo e di crescere dal punto di vista personale.
Tosca Naletto