01 Ott Giorno 3: spazi di leadership
Il leader collabora per uscire da una stanza chiusa a chiave, sa usare il vero potenziale della tecnologia, dona seconda opportunità e si dedica alla comunità.
Il terzo giorno del nostro viaggio è stato ricco di avvenimenti.
Durante la mattina abbiamo partecipato a quella che per noi è stata una sorpresa: l’escape room. Si tratta di una stanza chiusa a chiave dalla quale si deve uscire nel minor tempo possibile; per fare ciò abbiamo dovuto risolvere una serie di indovinelli e collaborare tra di noi per trovare la soluzione. Il gioco ha testato la nostra capacità di lavorare in gruppo, di comunicare in inglese e, ovviamente, è stato molto divertente.
Nel pomeriggio abbiamo visitato uno spazio di coworking a Tel Aviv. Due ragazze, di cui è parte degli Alumni di LEAD, ci hanno spiegato che si tratta di un luogo in cui i ragazzi possono riunirsi per imparare o per lavorare assieme. Per esempio, un ragazzo interessato a programmare può usufruire questo spazio per conoscere coetanei con la sua stessa passione con cui può lavorare o apprendere assieme. Oltre a questo, vengono invitate aziende che permettono ai giovani di mettersi in gioco e ci sono corsi ed eventi che stimolano coloro che frequentano questi spazi.
Il problema che questo progetto, supportato dalla municipalità di Tel Aviv, vuole risolvere nasce dalla constatazione di un ragazzo appassionato di programmazione della mancanza di luoghi in cui condividere con i suoi coetanei questo particolare interesse. La soluzione adottata dalla municipalità è stata individuata in uno spazio di coworking che permetta a questi giovani di incontrarsi non più solo attraverso la rete online, ma anche fisicamente e di sviluppare la loro passione, indirizzandola verso la realizzazione di progetti concreti. A parer mio, questo progetto è molto innovativo perché concepisce un gruppo come qualcosa di fluido: le persone vanno e vengono, si scambiano idee, si relazionano e creano nuove cose. Penso che ciò sia veramente importante nel mondo odierno.
Di sera ci trovavamo nella periferia di Tel Aviv. Per la prima volta dopo tre giorni abbiamo mangiato pizza! La pizzeria, però, era piuttosto particolare. Il suo nome è “Pizza People”, è stata fondata da dei ragazzi molto giovani che volevano fare del bene per la comunità e che ci hanno raccontato la loro storia mentre noi, seduti ad un tavolo, sbranavamo pizze (me compreso!).
Come ben sappiamo, la periferia di ogni città non è un posto in cui qualcuno spererebbe di nascere: le opportunità sono poche e i pericoli sono molti. Questi ragazzi sapevano di dover fare qualcosa, perciò hanno voluto creare uno spazio sicuro nella periferia, ovvero “Pizza People”. Il concetto alla base di questa attività è semplice: se tu cambi il modo di fare business cambi anche l’ambiente circostante. Il nuovo business fornisce la pizzeria di un frigo la cui porta si può aprire dall’esterno, infatti in esso viene posta la pizza non venduta o qualsiasi cibo in più che i gestori del locale e gli abitanti del posto vogliano donare a chi è in difficoltà. Il frigo rimane sempre aperto, usufruibile da tutti.
“Pizza People” è una pizzeria innovativa anche perché coinvolge le persone della periferia, per esempio senzatetto o ragazzi che non sono andati scuola, per dare loro una possibilità di riscattarsi e di vivere una vita diversa. Questo, però, non è sempre facile… Il ragazzo ci ha raccontato la storia di uno dei dipendenti, un ragazzo che viveva in un contesto problematico e che è stato assunto così da poter essere aiutato. I gestori, tuttavia, hanno scoperto che aveva rubato un’ingente somma alla pizzeria. Delusi e amareggiati avrebbero potuto licenziarlo e chiamare la polizia, invece, gli hanno dato una seconda possibilità permettendogli di tornare a lavorare, a patto che restituisse la somma rubata.
Qualche tempo dopo questo avvenimento, la pizzeria viene rapinata ripetutamente ed i proprietari decidono di installare delle telecamere: dopo avere analizzato attentamente i filmati hanno scoperto che il colpevole era, ancora una volta, quel ragazzo a cui avevano dato una seconda opportunità. La delusione era molta: nonostante cercassero di fare del bene, il ragazzo mandava tutto alle ortiche.
Cosa avrebbero dovuto fare? Dargli un’altra possibilità? Nonostante “Pizza People” sia un progetto sociale, ha comunque bisogno di entrate per mantenersi, non può di certo permettersi di essere costantemente derubata.
La decisione è stata difficile, ma questa volta i giovani proprietari hanno deciso di chiamare la polizia e far arrestare il ragazzo.
La domanda che mi sono posto mentre ascoltavo la storia è stata: “Perché ha fatto questo? Perché ha rubato dalle stesse persone che lo stavano aiutando? Droga, criminalità?” No, era un ragazzo come tutti noi. Usava i soldi rubati per comprare scarpe, vestiti e uscire con gli amici, perché voleva sentirsi parte di qualcosa e non sentirsi escluso.
Questa storia ci racconta che non sempre le cose vanno come desideriamo. Ma nonostante tutto sono rimasto colpito dalla passione del proprietario: da come parlava si vedeva quanto ci tiene, quanto veramente crede in quello che fa e il suo impegno per il bene della comunità.
Francesco Vo